Il consumo del suolo

Japan, Tokyo, Shinjuku, Tokyo Metropolitan City Hall in the center, aerial view

Le Nazioni Unite, il 25 settembre 2015, con ben 193 Stati aderenti, hanno approvato l’Agenda 2030 per lo Sviluppo Sostenibile, un programma d’azione per il pianeta che ingloba 17 Obiettivi, “Sustainable Development Goals, SDGs” contenente  ben  169  traguardi  o ‘target’.

Tra gli obiettivi prefissati, l’obiettivo 15 prevede di “ Proteggere, ristabilire e promuovere l’uso sostenibile degli ecosistemi terrestri, la gestione sostenibile delle foreste, combattere la desertificazione, fermare e rovesciare la degradazione del territorio e arrestare la perdita della biodiversità”, ponendo al centro della politica mondiale il tema del “consumo del suolo”.

Pasquale Crispino – Dottore Agronomo Consigliere Ordine Nazionale Agronomi e Forestali

Anche se tale tema può sembrare molto lontano dal vivere comune ed è poco percepito dalla collettività, l’uso razionale, sostenibile e parsimonioso della risorsa suolo è fondamentale per le generazioni future. Molti dimenticano che il suolo fornisce al genere umano una serie di servizi ecosistemici necessari al nostro sostentamento quali,  servizi di approvvigionamento (prodotti alimentari e biomassa, materie prime, etc.),  servizi di regolazione (regolazione del clima, cattura e stoccaggio del carbonio, controllo dell’erosione e dei nutrienti, regolazione della qualità dell’acqua, protezione e mitigazione dei fenomeni idrologici estremi, etc.), servizi di supporto (supporto fisico, decomposizione e mineralizzazione di materia organica, habitat delle specie, conservazione della biodiversità, etc.) e servizi culturali (servizi ricreativi, paesaggio, patrimonio naturale, etc.).

In contrapposizione alle numerose funzioni che esso assolve ed alla percezione comune di una risorsa illimitata e immutevole, al contrario, la risorsa suolo è molto fragile e facilmente viene danneggiata da non corrette pratiche agricole, zootecniche e forestali, da variazioni d’uso derivate da dinamiche insediative incontrollate, i cui effetti sui cambiamenti ambientali globali possono originare gravi processi degradativi che spesso diventano evidenti solo quando sono irreversibili.

Possiamo costruire nuovi edifici,  infrastrutture, opifici ma il suolo no, salvo quello sottratto alle acque con costi altissimi, il SUOLO è l’unico bene non riproducibile.

Il concetto di consumo di suolo è definito come una variazione da una copertura non artificiale (suolo non consumato) a una copertura artificiale del suolo (suolo consumato), per cui il consumo di suolo è un fenomeno associato alla perdita di una risorsa ambientale, dovuta appunto all’occupazione di superficie originariamente agricola, naturale o seminaturale con  incremento della copertura artificiale di terreno, legato alle dinamiche insediative e infrastrutturali. Pertanto un suolo risulta consumato quando viene impermeabilizzato e, di fatto, non è più in grado di svolgere la propria funzione in quanto tale.

La percentuale di costruito europea è decisamente inferiore a quella italiana, attestandosi a 2,8%. Tra i vari Paesi più cementificati spicca Malta con oltre il 18% di superficie costruita, mentre Svezia, Norvegia e Islanda hanno meno dell’1% della loro superficie impermeabilizzata. L’Italia si colloca al quinto posto dopo i Paesi Bassi, Belgio, Lussemburgo e Germania .

Le aree boscate e a copertura arborea coprono circa il 34% dei Paesi europei, l’Italia ha circa il 41% di superficie coperta da alberi, con picchi di oltre il 60% della superficie nazionale in Finlandia e valori minimi inferiori al 10% a Malta, in Islanda e Irlanda.

In Italia, secondo il rapporto ISPRA si è passato dal 2,7% della superficie nazionale impermeabilizzata degli anni ’50  al  7,65% della superficie nazionale impermeabilizzata nel 2017 ed il consumo del suolo è stato di 54 chilometri quadrati consumati solo nell’anno 2018, al ritmo di 2 metri quadrati al secondo.

La regione con la maggior superficie impermeabilizzate è la Lombardia (13% del suolo regionale consumato), seguita dal Veneto (12%) e dalla Campania (10%).

Il consumo di suolo, se pur nell’ultimo decennio si è ridotto in termini percentuali, passando dagli 8 metri quadrati al secondo degli anni 2000, ai 4 metri quadrati al secondo tra il 2013 e il 2015 e 3 metri quadrati al secondo nei primi mesi del 2016, rappresenta comunque un dato molto allarmante in quanto l’impermeabilizzazione copre irreversibilmente aree naturali e agricole con asfalto e cemento, edifici e fabbricati, e causa una modifica costante nei paesaggi agrari, soventemente in zone ad alto rischio idrogeologico che, considerata l’enorme fragilità del territorio italiano, ha risvolti tragici in termini di  sicurezza.

L’impermeabilizzazione del suolo determina l’immissione di enormi quantità di acqua, rispetto ai tempi passati, direttamente nei fiumi. Infatti essi si ingrossano e conseguentemente straripano allagando enormi territori, anche alla luce del fatto che l’11,9% del suolo consumato ricade in zone a pericolosità da frana, l’11,6% a pericolosità idraulica e il 37,7% a pericolosità sismica. Nel 2019 risulta ormai coperto il 7% di quelle classificate a pericolosità elevata P3 e il 10% delle aree a pericolosità idraulica media P2.

Al pericolo del consumo di suolo in termini di sicurezza si associa anche il grave problema della perdita di produzione agricola e dei danni economici, tanto che dal  2012 la  2019, il CREA ha stimato la perdita di produzione agricola complessiva in 3.700.000 quintali, ed in particolare  2 milioni e mezzo di quintali di prodotti da seminativi, seguiti dalle foraggere (-710.000 quintali), dai frutteti (-266.000), dai vigneti (-200.000) e dagli oliveti (-90.000), pari ad un danno economico stimato è di quasi 7 miliardi di euro.

Dai dati sviscerati innanzi, nasce la necessità da parte di tutti, politici, tecnici, imprenditori, e cittadini di governare il processo, attuando politiche che mirino al consumo zero della risorsa suolo ovvero, ove non possibile, politiche di uso razionale ed ecosostenibile di tale importante e limitata risorsa.

Abbiamo il dovere di riconvertire aree urbane in disuso, pianificando l’uso di aree a bassa valenza ambientale e con scarsa capacita ecosistemica e, da qui, la necessità della pianificazione territoriale, partendo da una conoscenza dettagliata del patrimonio suolo non solo in termini quantitativi ma soprattutto qualitativi. Oggi, molto più del passato, vi è una sensibilità ambientale molto forte ma ancora non sufficiente e un approccio alla pianificazione ancora poco multidisciplinare, anche alla luce del fatto che vi sono realtà territoriali talmente specifiche che sfuggono ad un inquadramento generale del problema. 

Adesso più che mai abbiamo il dovere di tutelare il nostro territorio, il che non vuol dire vincolare vaste aree del nostro bellissimo territorio con vincoli paesaggistici, ambientali o di altra natura bensì pianificare in modo razionale, ecosostenibile e fruibile il nostro ambiente, coniugando la tutela ambientale, con lo sviluppo economico e la fruizione delle aree. Bisogna armonizzare e coniugare la tutela ambientale con lo sviluppo economico, bisogna portare nei territori economie, turismo, ricchezza, perché solo generando economia si tutela l’ambiente e si creano le condizioni affinché non si determini l’abbandono delle aree. Troppo spesso abbiamo assistito a forme di tutela radicali, in cui per la smania di proteggere l’ambiente si sono vietate ogni forma di utilizzo dei suoli con il conseguente abbandono di larghe fette di popolazione e lo spopolamento di vaste aree della nostra nazione.

La sfida per il futuro è quella di ridurre ulteriormente o azzerare totalmente il consumo del suolo ma garantendo il progresso tecnologico, economico, turistico e sociale dei territori, operando politiche di pianificazione tali da mettere al centro il sistema uomo/ambiente e non uno solo dei due e tutto ciò è possibile attraverso la conoscenza puntuale e multidisciplinare del territorio senza logiche di primogenitura o categoriali.

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