La crisi sanitaria derivante dalla pandemia ha avuto grandi ripercussioni nel consumo di vino mondiale.
Le misure di contrasto al Covid-19, particolarmente severe per la loro durata e le politiche associate, quali i divieti di vendita, messe in campo dai governi hanno prodotto la chiusura del canale Ho.Re.Ca., di bar e ristoranti, il blocco degli eventi, la limitazione del turismo. Tutto ciò ha inevitabilmente stravolto le abitudini di consumo dei cittadini. Di conseguenza, nel 2020 i volumi di vino bevuti nel mondo sono diminuiti del 3%, secondo i dati pubblicati dall’Organizzazione internazionale della vigna e del vino (OIV), raggiungendo il livello più basso dal 2002, con una stima di 234 milioni di ettolitri.
L’OIV sottolinea che un tale calo non era stato osservato dalla crisi finanziaria del 2008. Pur evidenziando le incertezze legate a queste stime, fatte in tempi difficili, l’organizzazione attribuisce la palma del vincitore per questa inversione di tendenza alla Cina. Nel 2020 il consumo di vino nel Paese è crollato del 17%, collocandolo al sesto posto nella classifica mondiale dei paesi amanti del vino. In sostanza gli ultimi dati sulla Cina mostrano l’arresto della rapida crescita del settore vitivinicolo cinese.
Anche gli spagnoli hanno dato dimostrazione di una sospetta morigeratezza con un calo dei consumi di vino del 6,8%. Al contrario, gli italiani hanno aumentato il proprio consumo di vino del 7,5%. In sostanza l’Italia incalza ora la Francia, pronta a competere per il posto di secondo Paese consumatore. Tanto più che in Francia, come negli Stati Uniti, Paese leader per il consumo, il numero di bicchieri bevuti è rimasto stabile. Per quanto riguarda la vendemmia, l’OIV stima che nel 2020 i vigneti mondiali abbiano prodotto 258 milioni di ettolitri, con un leggero aumento dell’1%.
Le prime stime della produzione di vino 2021 nell’emisfero australe fanno prevedere volumi elevati nella maggior parte dei paesi, con l’eccezione dell’Argentina. Le significative revisioni al ribasso dei dati relativi alla superficie a vigneto e alla produzione e al consumo di vino in Cina, insieme al netto calo delle importazioni di vino, indicano che la tendenza di crescita sostenuta iniziata venti anni fa è probabilmente giunta al termine
Il trio per eccellenza quando si parla di vino, formato da Italia, Francia e Spagna è in testa a questa speciale classifica afferente la produttività vitivinicola. L’imbottigliamento è aumentato dell’8%, innalzandosi a 165 milioni di ettolitri, in rialzo dopo una vendemmia 2019 piuttosto esigua.
La triade dei paesi del vino europei, da sola, rappresenta ormai il 53% dei volumi mondiali.
Il clima ha favorito la Spagna, i cui volumi sono aumentati del 21%. Ma anche la Francia con una produzione di 46,6 milioni di ettolitri, in crescita dell’11%.
Questo risultato è stato particolarmente sorprendente in quanto l’industria vinicola francese aveva chiesto di distillare parte dei suoi vini per ridurre le scorte in tempo di pandemia e lo Champagne aveva ridotto la vendemmia del 20%. Questo dinamismo europeo contrasta con la stagnazione negli altri continenti.
Gli Stati Uniti, in particolare, rispetto al 2019 mostrano un calo della produzione dell’11% a 22,8 milioni di ettolitri. Gli incendi che hanno divorato la California non hanno risparmiato i vigneti. Anche in Argentina e Cile, senza dimenticare l’Australia, i livelli di raccolto sono in forte calo. Ma il calo più grande, come detto, è avvenuto in Cina. Ha prodotto solo 6,6 milioni di ettolitri, ovvero il 16% in meno rispetto al 2019.
L’OIV si interroga sulle difficoltà incontrate da questo paese nello sviluppo del settore vinicolo. In questo contesto travagliato, la Francia mantiene la posizione di paese che valorizza al meglio i suoi vini per l’esportazione. Ma le tasse imposte da Donald Trump sulle importazioni di bottiglie francesi, i rischi legati al coronavirus che ha penalizzato le vendite in Cina e ad Hong Kong, ma anche in altri mercati, sono tutti elementi che hanno ridotto la manna dell’export di bordeaux, borgogna o champagne.
Quanto agli Stati Uniti, mantengono il titolo di primo importatore di vino in valore davanti alla Gran Bretagna.
Il mercato si caratterizza per essere altamente concentrato e, pertanto, è estremamente rischioso. Ciò dimostra che la diversificazione è necessaria, a partire dal consumo. In effetti più che aumentare i consumi di vino nelle nazioni di consumo tradizionale bisognerebbe tentare di rendere il vino un bene di consumo più universale a cominciare dal mercato asiatico che rappresenta una delle sfide principali del settore vinicolo per il prossimo futuro.