Covid docet: non esiste più bene individuale senza bene comune.

Parlare di imprese oggi, nel mezzo dell’anno 2020, l’anno che inaugura il “ventennio” del nuovo secolo con una sfida mondiale inattesa e feroce, significa parlare di nuove imprese “rinate” alla luce di una esperienza radicale che insegna a tutti, con un impatto violento ed inopinabile, una nuova strada. Oggi più che mai il messaggio è arrivato forte e chiaro: abbiamo esagerato, abbiamo reso esausto il sistema mondo, e questo sistema si è autoimploso ingoiando tutti. Un miserrima entità, che non è nemmeno un essere vivente, un virus, l’essenza quasi pura della vita, ha radicalmente falcidiato alla base, convinzioni, sistemi, ha riscritto geografie, priorità, valori, fabbisogni e possibilità. E lo ha fatto a tutti i livelli, in tutto il mondo, per chiunque abiti questo nostro pianeta maltrattato: lavoratori, pensionati, bambini, adolescenti, anziani,studenti persone malate e sportivi in ottima forma. Nessuno e niente è stato risparmiato. Inizialmente, le imprese e gli Stati si sono trovati dinnanzi ad una emergenza terrificante da gestire alla meglio (come ogni emergenza), nel miglior modo possibile, scegliendo il male minore, magari senza andare troppo per il sottile. Purtroppo, ubi maior minor cessat… Ma ad oggi, passata l’emergenza, ma non passato il pericolo, gli Stati e le imprese devono investire su una “nuova forma capitale”: il “benessere sociale” diviene “bene aziendale”. La salute degli altri diviene il tuo attivo aziendale. Un attivo che se venisse disperso, l’azienda chiuderebbe semplicemente di nuovo. Chiudere di nuovo, e per molte aziende, purtroppo, significa chiude per sempre. Il nuovo bene immateriale, il nuovo attivo aziendale da ascrivere a bilancio è il “bene comune”. Rispetto dell’ambiente, rispetto delle norme sulla salute dei luoghi di lavoro, qualità dei prodotti, tracciabilita’ delle produzioni, pagamento delle imposte per sostenere lo Stato, i nostri ospedali, le scuole sicure dei nostri ragazzi: questo capitale manterrà aperte le aziende, gli aeroporti, i cantieri, i negozi. Non sarà più sensibilità etica di pochi, ma interesse di tutti tutelare il “bene comune”. La pandemia diventi una “panacea salva tutti”. Gli Stati moderni, ed anche il nostro italiano, in questa emergenza hanno accelerato un meccanismo innovativo per aiutare le imprese a fatturare “senza pagare le tasse”. Non è uno scherzo e non è un trucco. Nessuna trappola, ma un meccanismo virtuoso che consente di lavorare, spendere, dichiarare profitti e “non pagarci le tasse” . Come? Si chiama “credito di imposta” che genera “moneta fiscale”. Un esempio semplice : compro un bene, un servizio e pago 1. 000 (mille) euro + 220 (duecentoventi) euro di Iva. Sui 1.000 euro di imponibile hai ad es. il 45% (quarantacinque) di credito di Imposta, quindi, pari a 450 euro (quattrocentocinquanta). Et voilà: ecco generata moneta fiscale per euro 450! Una impresa deve pagare 5.000 (euro) di imposte, tasse o contributi ai dipendenti (e comunque qualsiasi somma tramite il modello F24)? Ne pagherà solo 500 (“cinquecento”) con un guadagno netto immediato di 4.500″. Quindi è come un contributo a fondo perduto. Il tuo investimento in beni o servizi aziendali (come indicati dalle nuove norme fiscali) ti genera automaticamente un risparmio importante di imposta. Genera moneta fiscale. Stampa danaro. È possibile coniare moneta fiscale anche su costi già sostenuti di salari e stipendi, quindi, anche in mancanza di investimenti in beni nuovi. Innescare simili strategie di crescita etica fa sì che si possa più intelligentemente “non pagare” le tasse, dirottare i soldi verso investimenti aziendali, ma senza danneggiare il “bene comune” e senza mettere, quindi, a repentaglio la vita stessa della propria impresa. E contemporaneamente si finanzia lo Stato che tanto ci serve quando apre ospedali in tempi di pandemia. Covid docet: non esiste più bene individuale senza bene comune.

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