Rapporto Svimez 2020, se il Mezzogiorno è in pericolo lo è l’Italia intera, sia chiaro!

Il rapporto annuale della Svimez, recentemente pubblicato, presenta una società meridionale in una condizione che non può non destare preoccupazione, e non solo per il propagarsi del Covid-19.

Nicola Di Iorio

Sebbene la prima ondata della pandemia, quella della primavera, si è concentrata soprattutto nel Nord, gli effetti negativi della conseguente crisi economica si sono quasi subito estesi e propagati al Mezzogiorno. Tali effetti si sono subito trasformati in emergenza sociale a causa di un tessuto produttivo più debole, di un mondo del lavoro più frammentario e di una società più fragile e meno capace di difendersi.

La seconda ondata, quella scatenatasi in Italia a partire da ottobre, a differenza della prima, ha fatto sentire i propri effetti negativi direttamente nel Mezzogiorno. Pertanto, all’emergenza economica e sociale riveniente dalla prima ondata si è sommata l’emergenza sanitaria.

Secondo le stime di SVIMEZ, nel 2020 il Pil italiano subirà una riduzione del 9,6% con un arretramento più evidente nel Centro – Nord, che dovrebbe essere del 9,8% mentre nelle regioni meridionali sarà del 9%. Nel Mezzogiorno, il secondo lockdown ha accresciuto le difficoltà di sopravvivenza sia di attività che delle fasce occupazionali già border line, si pensi al sommerso, al nero e agli irregolari.

Di qui la caduta del reddito disponibile delle famiglie chè è precipitato del – 6,3%. Tale caduta ha un avuto come inevitabile effetti quello di trasmettersi ai consumi privati che sono dimuiti al Sud del 9,9%. Tale diminuzione è addirittura superiore a quella registrata nel Centro – Nord ( – 9%). E tutto ciò avviene mentre la base produttiva meridionale non ha ancora recuperato i livelli antecedenti la “lunga crisi”, specie nel suo delicato comparto industriale.

La SVIMEZ, nel suo prezioso rapporto, prevede, sperando almeno che non siano le previsioni dell’oracolo di Delfi, che il Pil possa crescere nel 2021 al Sud dell’1,2% e nel 2022 dell’1,4% e al Centro – Nord del 4,5% nel 2021 e del 5,3%l’anno successivo.

E’ evidente che se le previsioni dovessero essere confermate dai fatti, la ripresa sarebbe segnata dal riaprirsi di un forte differenziale tra le aree del Centro Nord e quelle del Mezzogiorno facendo allargare la forbice in modo drammatico.

Sempre secondo SVIMEZ, il Paese è oggi «unito» da una recessione senza precedenti. Gli effetti negativi sull’economia, quasi seguendo lo stesso percorso del Covid-19, si diffondono progressivamente a tutte le regioni italiane.

Il primato negativo del crollo del PIL nell’anno del Covid – 19 spetta ad una regione del Mezzogiorno e ad una del Nord: la Basilicata ( – 12,9%) e il Veneto ( – 12,4%). La Lombardia, epicentro della crisi sanitaria, perde 9,4 punti di Pil nel 2020. Perdite superiori al 10% si registrano nel 2020 al Nord: Emilia Romagna ( – 11,4%), Piemonte ( – 11,3%) e Friuli V.G. ( – 10,5); al Centro: Umbria ( – 11,6%) e Marche ( – 10,8%); e nel Mezzogiorno: Puglia ( – 10,8%) e Molise ( – 11,7%). La Campania, pur difendendosi, perde circa il 9%. Elevate le perdite anche in Calabria ( – 8,9%). A seguire le isole, la Sardegna ( – 7,2%) e Sicilia ( – 6,9%), economie regionali meno coinvolte negli interscambi commerciali interni ed esteri e perciò più al riparo dalle ricadute economiche della pandemia.

Dal punto di vista demografico, nel 2019, tutte le regioni italiane hanno registrato un saldo naturale negativo e in netto peggioramento rispetto all’anno precedente. Nel 2018 si sono cancellati dal Mezzogiorno oltre 138mila residenti, di cui 20 mila hanno scelto un paese estero come residenza

Pertanto, amaramente, l’Agenzia è costretta anche a registrare che praticamente i due terzi dei cittadini italiani che nel 2018 hanno lasciato il Mezzogiorno per una regione del Centro – Nord, aveva almeno un titolo di studio di secondo livello: diploma superiore il 38% e laurea il 30%. Al disastro demografico si aggiunge l’emorragia delle fasce giovanili più acculturate che lasciano il Sud. E lo lasciano in mani e cervelli sempre meno in grado di elaborare pianificazioni e soprattutto di fare da argine morale e culturale a fenomeni criminali di grande pericolosità sociale.

Nel festival delle stime di SVIMEZ emerge anche quella relativa alla contrazione dell’occupazione di 4,5% nei primi tre trimestri del 2020 , il triplo rispetto al Centro – Nord. E si attende, per non finire con gli annunci negativi, una perdita di circa 280mila posti di lavoro al Sud.

La crescita congiunturale dell’occupazione era già modesta, la ricerca di lavoro in diminuzione e l’inattività in aumento.

Per l’immediato futuro cosa è possibile aspettarsi sul fronte dell’economia meridionale? La ripartenza del 2021 è destinata ad essere sempre più differenziata su base regionale rispetto all’impatto del Covid-19 nel 2020. Sia pure recuperando solo circa metà delle perdite subite nel 2020, le tre regioni settentrionali del triangolo della pandemia sono comunque destinate ad essere le più reattive con una previsione di +5,8% in Emilia Romagna, di +5,3% in Lombardia, di +5,0% in Veneto. Segno, questo, che le strutture produttive regionali più mature e integrate nei contesti internazionali riescono a ripartire con meno difficoltà, anche se a ritmi largamente insufficienti a recuperare le perdite del 2020. Piemonte e Liguria, invece, mostrano maggiori difficoltà a ripartire a ritmi paragonabili alle altre regioni del Nord. Tra le regioni meridionali, le più reattive nel 2021 sono, nell’ordine, Basilicata (+2,4%), Abruzzo e Puglia (+1,7%), seguite dalla Campania (+1,6%), confermando la presenza di un sistema produttivo più strutturato e integrato con i mercati esterni. Il resto è destinato ad arrancare prigioniere di un sistema produttivo poco innovato e poco integrato nei contesti internazionali.

E’ del tutto evidente che il riparto nazionale delle somme destinati agli investimenti va assolutamente riequilibrato una volta per tutte, tenuto conto che il Centro Nord ha svolto il ruolo di idrovora delle risorse.

La partita che si sta per aprire sui fondi europei è decisiva. Il Centro Nord non può più immaginare di vedere il Sud come un mero mercato, dove vendere e aspirare risorse mungendolo come una marchigiana. Quel tempo è finito. Siamo al bivio. Se il Sud non dovesse crescere a ritmi più sostenuti, e potrà farlo solo in presenza di risorse cospicue, inevitabilmente anche il Centro Nord è destinato a subire i contraccolpi negativi. Siamo tutti su una barca che ondeggia in mezzo ad una tempesta, da Courmayeur a Lampedusa, affondare sarà semplice. Ora è il tempo dei buoni nocchieri, se ce ne sono ancora.

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