IL WHATEVER IT TAKES DI MARIO DRAGHI, DOPO l’EUROPA, TOCCA ALL’ITALIA

Nicola Di Iorio

Secondo i dati del Fondo Monetario Internazionale, il debito dell’Italia è salito dal 134,6% del Pil nel 2019 al 157,5% del 2020. E quest’anno crescerà ancora arrivando a toccare il 159,7%, in peggioramento rispetto alla stima dello scorso ottobre, quando il Fondo aveva previsto un debito al 158,3%. 

Quattro scostamenti del bilancio hanno consentito al Governo uscente, guidato da Giuseppe Conte, di fronteggiare la crisi della pandemia e di rimpinguare i ristori per le imprese.

Il ricorso al maggior indebitamento da parte del Governo si è consolidato come prassi in questa fase di perdurante emergenza, permessa per effetto della sospensione dei vincoli del Patto di stabilità disposta da Bruxelles per tutto il 2020 che si prolungherà sicuramente per tutto il 2021 con una quasi certa estensione anche per il 2022 anche se, già a partire dal prossimo anno, si preannuncia l’avvio dell’istruttoria in sede europea per una revisione dei parametri fondamentali dell’attuale disciplina di bilancio.

E’ chiaro che la crescita del debito è un parametro che deve preoccupare l’Italia che diventerebbe, dopo il Giappone, il paese industrializzato più indebitato al mondo.

Tuttavia, gli analisti internazionali, a cominciare da quelli del Fondo Monetario Internazionale, sembrano non essere eccessivamente preoccupati in quanto non viene messo, al momento, in discussione il grado di credibilità e di solidità dell’economia italiana, in quanto la congiuntura è caratterizzata da bassi tassi di interesse e da una prevista ed auspicata crescita.

Io aggiungerei, nella discussione sulla credibilità finanziaria italiana, la presenza sia delle riserve auree dichiarate e custodite dalla Banca d’Italia per quasi 2.500 tonnellate che pongono il Paese al quarto posto in questa speciale classifica, sia del notevole risparmio privato detenuto dalle famiglie italiane che ammonta a oltre 4.445 miliardi di euro a fine 2019.

Insomma, i fondamentali del Paese sono ancora intatti seppur erosi dalla crisi derivante dalla pandemia che non accenna ancora a deflettere.

La questione della crescita è stato il punto che può spiegare la ragione vera che ha indotto il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, ad affidare all’ex Governatore della Banca d’Italia e Presidente della Banca Centrale Europea, Mario Draghi, la guida del Governo dopo che il Governo Conte era saltato a seguito di una decisa presa di posizione di Matteo Renzi che ha contestato nel merito l’andamento del Governo.

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Mario Draghi, il nuovo presidente del Consiglio dei Ministri succeduto a Giuseppe Conte

Piano nazionale di vaccinazione che non si riesce a velocizzare, interi settori economici lasciati a languire, disoccupazione in deciso aumento (oltre 440.000 nuovi disoccupati) nonostante il divieto dei licenziamenti in vigore fino al 31/03/2021, un Recovery plan solo abbozzato e privo di ogni aggancio con le richieste europee e quindi incapace di intercettare le risorse che l’UE mette a disposizione. Nel caso dell’Italia le risorse messe a disposizione non sono poca cosa, visto che si tratta di oltre 209 miliardi di euro, superiore addirittura alle somme che nel secondo dopoguerra il Piano Marshall mise a disposizione dell’Italia sconfitta.

Il quadro che il Governo Conte lascia in eredità, certo non solo per proprie responsabilità, è decisamente sconfortante.

Da qui è costretto a partire il lavoro di Draghi che, forte del sostegno (almeno formale) di tutti i partiti, tranne Fratelli d’Italia, ha formato un Governo in cui, a fianco di vecchi volti della politica partitica, vi sono personalità del mondo delle professioni e delle istituzioni economiche di altissimo profilo, chiamate a presidiare i ministeri chiave (Interni, Economia e Finanza, Innovazione Tecnologica e Transizione Digitale, Transizione Ecologica, Giustizia, Pubblica Istruzione, Infrastrutture e Trasporti).

Insomma, sembra un Governo costruito a cerchi concentrici che è chiamato ad un compito titanico in un rinnovato legame al contesto europeo e americano.

L’agenda è davvero di quelle da far tremare i polsi a chiunque. Draghi sembra essere la persona giusta al quale affidare un compito quasi improbo. Ma alla luce del suo passato e la sua attività professionale, messa al servizio dell’Europa e dell’Italia, anche attraverso il meccanismo del Quantitative Easing che essendo ancora pienamente in funzione, ha consentito di dare sostegno ed ossigeno ad una economia italiana che sarebbe entrata in un circuito di difficoltà da cui difficilmente sarebbe uscita indenne.

La prima e più importante attività del Governo Draghi sarà di affrontare e vincere, con decisione e senza sconti per nessuno, la partita con la pandemia e non sarà semplice, in quanto dovranno essere prima vinte le battaglie contro le diverse esigenze dei partiti e degli interessi di parte per procedere, successivamente, alla svelta alla vaccinazione della popolazione italiana. Probabilmente un maggiore rigore nell’applicazione delle norme non sarebbe da condannare. Non c’è alternativa se si vuole riprendere una vita normale e se non si vuole perdere il sistema produttivo, basato soprattutto sulle piccole e medie imprese.

La seconda partita è quella di utilizzare al meglio ed in modo ottimale i fondi del Next Generation Eu (altrimenti conosciuti come Recovery Fund) e impiegarli in investimenti pubblici produttivi, in grado di aumentare il prodotto reale italiano mettendo alla prova la capacità istituzionale di selezionare e realizzare progetti fattibili, non dispersivi e privi di prospettive come è avvenuto purtroppo nel caso del reddito di cittadinanza e di quota 100.

Presupposto di tutto ciò saranno le riforme, richieste espressamente e giustamente dall’UE, in materia di Fisco, Pubblica Amministrazione e Giustizia Civile.

iI tutto in una ottica di solidarietà e coesione territoriale, non dimenticando, quindi, come in Italia vi siano territori, come quelli del Mezzogiorno, in assoluto credito rispetto agli altri ed intere fasce di popolazione da aiutare come quelle dei disoccupati, dei giovani, delle donne e degli emarginati sociali e fisici.

Ciò che non è stato fatto per decenni bisognerà farlo in pochi mesi per non perdere la chance di utilizzare la massa di denaro del Recovery Fund.

Le misure “espansive” contenute nella legge di Bilancio, e soprattutto l’impatto delle risorse del Recovery Fund in arrivo a partire dalla prossima estate, dovrebbero assicurare e garantire una ripartenza del motore produttivo italiano che, se ammodernato e reso meno complicato, potrà essere da volano per una crescita auspicata da tutti attraverso soprattutto il rilancio dell’export del “Made in Italy”, vero e straordinario brand nel mondo.

Speriamo bene. Mario Draghi è l’unico oggi in Italia che può riuscire in questa impresa. Non voglio pensare al caso che non dovesse farcela. In quel malaugurato e sciagurato caso, l’Italia non sarebbe nel consesso dei paesi più sviluppati e industrializzati al mondo.

Quindi, come quel giorno del 26 luglio 2012 lo fu per l’Euro, anche per l’Italia è suonata la campana dell’ultimo giro. O ora o mai più. Quelle parole di Draghi “whatever it takes“, traducibili con “costi quel che costi” o “a ogni costo”, risuonino forte nella mente e nell’anima di ogni italiano. E’ il tempo dei doveri, più che dei diritti, perchè al di là del crinale ci potrebbe essere solo il baratro della disperazione e della povertà.

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