IL VECCHIO TOTEM DELLA DIVISIONE TERRITORIALE E LA SFIDA POLITICA CHE DEVE UNIRE IL NORD ED IL SUD SENZA SQUILIBRI

L’autonomia differenziata sta ripartendo tra dichiarazioni di assicurazione di un iter parlamentare militare e attività di diplomazia politica che si svolge, inevitabilmente, sotto copertura.

Si colgono i primi segnali di trattative nascoste tese a rompere il fronte di coloro che contrastano il piano Calderoli / Salvini e che vedrebbe il ministero delle autonomie aprire trattative con alcune regioni. Qualche ministro si sbraccia per farsi notare affermando che, a breve, si dovrebbero registrare delle novità con riferimento a possibili intese con alcune regioni (Lombardia, Veneto, Emilia-Romagna).

Nicola Di Iorio

Emerge di tutta evidenza il tentativo della Lega di rifarsi il trucco presentando lo scalpo delle regioni meridionali immolate sull’altare dell’autonomia differenziata dal sapore, fin troppo marcato, in salsa secessionista.

Tutto sembra però essere avvolto nel più fitto mistero visto che un testo pubblico al momento non esiste, almeno per i comuni mortali. Ciò nonostante il disegno di legge, targato Lega, in attuazione dell’art.116, comma 3, della Carta Costituzionale è stato incluso tra i collegati alla legge di bilancio.

Sul piano della tecnica legislativa l’inclusione di DDL tra i collegati non chiude per nulla la partita anche perchè sono tante le strade che potrebbero essere utilizzate. addirittura si potrebbe pervenire al riconoscimento di autonomie differenziate anche senza ricorrere all’art. 116, comma 3 come in passato è avvenuto per lo smantellamento del servizio sanitario nazionale

Tuttavia è di tutta evidenza che l’inserimento nel collegato al bilancio ne sancisce una evidente priorità politica per il Governo guidato dalla Meloni.

Sarebbe del tutto ozioso essere costretti ad affermare come le differenziazioni territoriali non sempre sono un male ma lo diventano sicuramente quando le differenziazioni diventano un totem e una testa di ponte per dare sostegno alla visione di diversità e diseguaglianze prese a pretesto per farle diventare elementi di lotta tra territori e di competitività per dimostrare una propria presunta capacità di utilizzare al meglio le risorse.

In questo modo verrebbero in rilievo solo i punti di distinzione, di differenza, di diversità e non solo tra Nord e Sud, ma anche tra aree urbane, metropolitane, costiere e aree interne e di montagna.

L’Italia a trazione nordista è la favola della vecchia Lega nord di stampo bossiano che non concede all’Italia alcun orizzonte unitario di speranza e che rompe il vincolo della solidarietà sancita dalla Costituzione del 1948.

In un tempo in cui le divisioni secessionistiche territoriali non pagano, come è stato ampiamente dimostrato dal caso della Catalogna rispetto alla Spagna di qualche anno fa la strategia scelta di occuparsi, in modo bertoldesco e contadinesco, di autonomia differenziata è sicuramente funzionale invece al raggiungimento di una secessione de facto.

Sotto questo aspetto il vaso di Pandora non presenta più sorprese ed il mondo dell’economia e della finanza italiana non può non porsi la problematica di cosa sarebbe il dopo di questa eventuale scelta che non può che definirsi scellerata.

Non è un problema di divisioni politiche e di partito in quanto il totem dell’autonomia viene brandito da un arco ideologico molto disparato a cui in modo intelligente è stato opposto, per merito del partito di Meloni e di pochi altri, la riforma del presidenzialismo che suonano tutte come pariole vuote di reale significato se non si affrontano i problemi di merito.

Materie come sanità, scuola, formazione non possono essere oggetto di frammentazione regionalistiche per accontentare satrapi di turno e sono anche evidenti i limiti entro cui si muove il Pnrr che dovrebbe perseguire un disegno di coesione sociale e territoriale.

Insomma più unità e meno divisione dovrebbe essere la politica da seguire.

L’Anci, nella sua versione meridionale, ha voluto rimarcare come “La crescita delle aree in ritardo di sviluppo è tra le maggiori sofferenze di questo Paese, ancor più dopo la crisi sanitaria che ha messo in ginocchio l’Italia per oltre un anno e mezzo. La partita dell’autonomia differenziata è, per questi motivi, troppo importante per ridursi a una mera disputa tra le istituzioni.

Finora il regionalismo differenziato – come previsto dall’art.116 comma 3 della Costituzione –, che attribuisce alle «regioni a statuto ordinario ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia, limitatamente però a determinate materie e seguendo uno specifico procedimento», si è tradotto in un tormentato braccio di ferro per le asimmetrie che verrebbero a introdursi nell’ordinamento italiano. E non sfugge agli amministratori locali il rischio nascosto nelle pieghe della riforma. Questo dovrebbe orientare un moderno meridionalismo a spingere verso una determinata direzione…”

Prima di affrontare le questioni riguardanti le diversità e le distinzioni territoriali andrebbero ripristinati criteri di uguaglianza sostanziale tra i territori della penisola alterati già a partire dal momento della unificazione risorgimentale e amplificati durante il corso dei decenni successivi.

Non è in discussione il rapporto Nord Sud, visto che ognuno ha bisogno dell’altro per garantirsi mercati più competitivi e maestranze più preparate. Ma non è più rinviabile l’apertura di un serrato confronto su cosa siano realmente i LEP, i livelli essenziali di prestazione che, purtroppo, sono restati inattuati nella famigerata e disgraziata riforma del Titolo V della Costituzione di oltre venti anni fa.
I LEP dovrebbero essere la garanzia di parità di trattamento di tutti i cittadini ovunque essi vivano, da Nord a Sud, dalla salute all’istruzione, dai trasporti pubblici al governo del territorio. I divari aumenterebbero se invece dei LEP si applicasse il criterio della «spesa storica» come pretende quota parte di alcuni partiti e movimenti a trazione nordista.

Insomma non si può essere culturalmente inerti e supini rispetti a progetti che rischiano la rottura del patto sociale che unisce i vari territori italiani. E’ il tempo delle scelte di campo per comprendere chi vuole ancora una Italia unita e chi la vuole frammentare per indebolirla ulteriormente anche nel turbolento scenario internazionale alimentando una crescente tensione sociale che sta creando una forbice intollerabile in una società che vede la classe media italiana, vera forza del Paese e costruita pezzo pezzo dalla tanto vituperata Democrazia Cristiana, sempre più risucchiata nelle fasce di povertà.