LE PMI E IL SISTEMA ITALIA ALLA PROVA DELLE CRISI EPOCALI DEL TERZO MILLENNIO

La Federazione Medie e Piccole Imprese ha organizzato a Roma, per il giorno 27 aprile 2022, un convegno dal titolo “Le PMI e il Sistema Italia”.

In tale occasione FMPI, rappresentata dalla presidente Antonina Terranova e dal componente dell’Ufficio di Presidenza Giuseppe Fontanarosa, si confronterà con il mondo parlamentare italiano e con il Vice Ministro dello Sviluppo Economico, il senatore Gilberto Pichetto Fratin.

Il convegno cade in un momento particolarmente delicato a causa sia della pandemia, che non accenna a regredire, seppur mitigata dai positivi effetti della vaccinazione di massa volontaria, che dalla guerra in Ucraina, deflagrata a seguito di un atto sconsiderato, medievale e deplorevole della Russia guidata da Vladimir Putin, presentatosi al mondo nel 1999 come un possibile leader democratico successore di Boris Eltsin e da tempo rivelatosi un campione di autocrazia.

Nicola Di Iorio

Se gli effetti negativi della pandemia in campo economico sembravano essere stati scontati, tanto da aver generato una crescita nel 2021 del PIL italiano di quasi il 7%, grazie soprattutto ad un’azione concreta ed incisiva del Governo Draghi, gli effetti rivenienti dalla guerra in Ucraina, ancora in corso, non sono ancora facile da valutare per le ricadute che essa è destinata comunque a produrre sulle economie del mondo.

Il sistema imprenditoriale italiano si fonda su circa 4,4 milioni di imprese attive. Di queste, le microimprese con meno di 10 addetti rappresentano la fetta più cospicua attestandosi sulla percentuale ragguardevole del 95,05% rispetto totale, mentre solo uno 0,09% è rappresentato dalle grandi imprese.

Quindi le PMI italiane sono quasi 206mila, cioè rappresentano il residuo 4,86% del tessuto imprenditoriale italiano, e da sole producono il 41% dell’intero fatturato generato in Italia creando il 33% di tutti gli occupati del settore privato e il 38% del valore aggiunto del Paese.

L’Italia, grazie a questo tessuto imprenditoriale, rappresenta la seconda economia manifatturiera d’Europa, subito dietro la Germania. Tra le grandi economie dei 27 Paesi membri dell’Unione europea, l’Italia presenta sicuramente la struttura produttiva più estesa e diffusa.

Quindi non è certo un luogo comune affermare che il sistema delle PMI italiane rappresenta la spina dorsale dell’economia italiana. E’ un risultato importante ed anche invidiato, ovviamente, ma non è un risultato acquisito per sempre. Anzi!

Come qualche acuto analista ha sostenuto, il terzo millennio si era aperto con le avvisaglie del tramonto del secolo americano, con la conseguente messa in disarmo della Nato, e la possibile transizione al secolo cinese.

Quando il 24 febbraio scorso sono cominciate a cadere le prime bombe russe in Ucraina, il mondo è sembrato essere risucchiato all’indietro. Come se il ventesimo secolo non fosse ancora finito e il tenente colonello del Kgb, al secolo Vladimir Putin, fosse lì a ricordarcelo. La Russia, nel suo Dna ha avuto sempre una concezione imperiale della propria missione statale che non ha avuto cesure nel passaggio dagli zar ai Soviet, al Politburo comunista e all’attuale autocrazia oligarchica.

La messa all’angolo della Russia, generata dalla deflagrazione dell’Urss e dalla incapacità di fare un salto nel mondo dello sviluppo industriale, ha contribuito a creare le condizioni per far esalare un ultimo respiro alla politica imperiale russa, prima che gli USA e la Cina occupassero la scena in modo definitivo.

Lo scenario internazionale attuale è turbolento, traumatico e violento ma il destino di marginalizzazione russo non può essere cambiato da una eventuale vittoria in Ucraina. 

I due veri imperi, uno forse in declino e l’altro forse in ascesa, stanno accelerando la resa dei conti. Chi sta in mezzo – come gli europei, compreso i russi – rischiano di fare la fine del vaso di coccio.

Il grande sogno dell’Unione Europea non è ancora attrezzato, sul piano politico e militare, per affrontare la tempesta in arrivo. Probabilmente neanche i leader dei vari Paesi, superpotenze comprese, hanno un’idea chiara sulla dinamica della sfida, sulle prossime puntate di questa storia, sul punto di arrivo finale. Si rischia di mettere in moto forze che loro stessi fanno difficoltà a governare e a dominare fino in fondo. 

Insomma si sta preparando un mondo nuovo, che in poco tempo sta cancellando le regole fissate nell’epoca precedente. Abbiamo bisogno di capirlo, è una questione di sopravvivenza.

Il sistema industriale e la politica italiana hanno l’obbligo di guardare agli effetti dello scenario geopolitico che si presenta di particolare gravità: una guerra in corso che ha effetti non solo attraverso la fisiologica sottrazione di spazi di mercato nei paesi coinvolti ma pesa sulla fiducia globale e soprattutto sui costi per le imprese.

Le conseguenze immediate, soprattutto derivanti dall’applicazione delle sanzioni e delle controsanzioni, sono sicuramente una revisione al ribasso della crescita della domanda mondiale.

È tuttavia dal lato degli approvvigionamenti energetici ed alimentari che le tensioni mondiali rischiano di lasciare per strada intere economie. La sfida dello sviluppo, a cui sono chiamate l’Europa e, in essa, l’Italia, nei prossimi decenni è da rivedere in alcuni concetti di base senza compromettere la propria volontà di evitare lo smantellamento del welfare, da un lato, e di evitare la marginalizzazione di politiche a tutela dell’ambiente e del clima più salubre.

Accelerazione sulle fonti energetiche rinnovabili, rivisitazione dell’approvvigionamento energetico nucleare, revisione dei processi autorizzativi ed impeditivi delle trivellazioni, accentramento delle decisioni per evitare le frammentazioni regionali, per non dire comunali, sono solo alcune delle sfide da affrontare in un contesto congiunturale non favorevole per la presenza di tante aree di crisi mondiali.

L’Italia non potrà sottrarsi dal farlo e dovrà farlo, purtroppo, cominciando a guardarsi da possibili nemici, nemmeno tanto latenti, già presenti nel Mediterraneo.

Sarà certamente più turbolento il futuro e non più tante tranquille le speranze di tutti, ma questi pesi comporteranno, almeno questo, un ricompattamento dei paesi europei, intorno all’UE, e ad un rafforzamento delle politiche Atlantiche.

Non ci sono molte altre alternative per evitare che le libertà e lo stile di vita conquistate dalle democrazie occidentali, soprattutto dopo le rivoluzioni inglesi e francesi dei secoli scorsi e dopo le due guerre mondiali del novecento europeo, possano essere fagocitate dal medioevo russo o dalla globalizzazione in salsa cinese.