Salario minimo o salario di stato?

Non possiamo nascondere la preoccupazione che cova nell’attesa di una proposta del governo che legherebbe il potere di acquisto di salari e pensioni al cosiddetto “bilancio dello stato”, sulla sua sostenibilità e sui possibili scostamenti futuri!
Quali leve userà il Governo per aumentare la liquidità spendibile di stipendi e pensioni?
La leva contributiva? La leva fiscale? Tutte e due in un mix che farà prolificare circolari ed interpretazioni? Sarà ancora un insieme di regole valide solo per il lavoro privato o anche per il settore pubblico?

Antonio Iodice
Presidente Nazionale Aggiunto
FMPI e Presidente Ebiconf Lombardia

Non ci convince il silenzioso atteggiamento del mondo imprenditoriale e del sindacalismo statale, che sembra abdicare al residuale ruolo consultivo.

Comodo accettare soluzioni imposte, senza condividerle ma anche senza protestare e proporre alternative.

Si va verso un salario minimo di stato, ma pagato da chi?

Per alcuni questa soluzione sarebbe la sconfitta del vero liberismo imprenditoriale, che non significa intraprendere senza regole, ma decidere come investire nel proprio futuro.

E il sindacato? Lasciamo giudicare i lavoratori che già si sono divisi in oltre 26 sigle sindacali che per comodità alcuni politici vorrebbero ridurre ai soliti 3 noti, abbattendo un baluardo di democrazia sindacale che investirebbe anche noi!

Il salario di stato porterà al sindacato di stato ma anche all’associazionismo datoriale compiacente e manco a dirlo di stato?

Sappiamo che ci resteranno i problemi di sempre, e cioè un sistema pensionistico inadeguato e non più sostenibile con i vecchi sistemi di accantonamento, un sistema fiscale sulle imprese che non invoglia e che al contrario suggerisce alternative verso altre frontiere.

Qualcuno suggerì in passato di non rendere obbligatoria l’iscrizione all’INPS per le aziende, lasciando il libero mercato della previdenza a tutti gli operatori del settore finanziario.

Maggiore liquidità circolante, crescita del Pil, maggiore flessibilità di uscita pensionistica, maggiore ricambio generazionale, maggiore resa pensionistica.

Ma resta il problema della sostenibilità delle pensioni in essere!

Ma lo abbiamo già oggi che pesa sul bilancio dello stato e che finanziamo regolarmente col debito di stato. Così come le casse integrazioni e la malattia indennizzata che ormai supera ampiamente l’incidenza del 4% !

Allora? Tutto cambia e nulla cambia. Ma noi possiamo far sentire la nostra voce nella speranza che una classe di governanti avveduti voglia ascoltarci.