10 GIUGNO 1940 – L’ORA PIÙ BUIA PER L’ITALIA

E’ abbastanza evidente come la data del 10 giugno sia stata completamente rimossa dal ventre culturale italiano.

Nemmeno le polemiche astiose e cattive della politica nostrana hanno creato le condizioni per un rinovellato interesse verso il significato di questo giorno.

In effetti, il 10 giugno del 1940 è certamente da considerare una data importante, seppur nefasta, nella storia italiana.

Ottantuno anni fa Benito Mussolini, capo del fascismo italico e Presidente del Consiglio, annuncia agli italiani che sono in guerra, a fianco dei nazisti di Hitler e del Giappone di Hirohito e che sono, schierati in guerra, contro la Gran Bretagna, la Francia e, successivamente, anche contro l’Unione Sovietica e gli Stati Uniti d’America.

Nicola Di Iorio- direttore di ImpresInforma

Dopo l’attacco tedesco contro la Polonia, il primo settembre del 1939, Benito Mussolini, pur in costanza di un patto di alleanza con la Germania, dichiarò la non belligeranza italiana.

L’entrata dell’Italia nella seconda guerra mondiale avvenne invece con una serie di atti formali e diplomatici solo dopo nove mesi, il 10 giugno 1940, e fu annunciata da Mussolini stesso con un ormai celebre discorso tenuto dal balcone di Palazzo Venezia sede del Governo del ventennio.

I passi del Duce dalla sua scrivania al balcone furono privi di incertezze, la voce del capo del Fascismo, come al solito, era un misto tra un grande cantore, un abile imbonitore e un teatrante consumato. In una piazza gremita all’inverosimile gli alto parlanti rilanciavano parole fiammeggianti e intrise di una retorica militaresca al confine con la retorica e la magniloquenza di Cicerone.

Per chi ha avuto modo di ascoltare i racconti della generazione che fu giovane in quegli anni sembra di doversi confrontare con una generazione di veri rivoluzionari. E forse è stato davvero così visto che i giovani dell’epoca facevano a gara a schierarsi con una ideologia che rovesciava i miti dell’ottocento. Le statue ideologiche sembravano tutte vecchie, ed in fondo lo erano, se è vero come è vero che l’unica risposta che il mondo politico di derivazione ottocentesca fu capace solo di proporre l’Aventino come misura di sterile protesta a seguito dell’efferato omicidio Matteotti che cambiò la storia del Movimento fino a farlo diventare altro ancora con l’introduzione delle leggi razziali del 1938 che furono firmate da Benito Mussolini, in qualità di capo del governo, e poi promulgate dal re Vittorio Emanuele III.

In sostanza il Fascismo, nella sua genesi, rappresentava per molti un salto in avanti, una innovazione nel modo di far politica che la Destra e la Sinistra storiche avevano ingessata e resa paludosa.

Eccolo, sembra di sentire la sua voce chiara, limpida, tonate, sferzante e precisa. Mussolini in effetti aveva capacità oratorie non comuni.

“Combattenti di terra, di mare, dell’aria. Camicie nere della rivoluzione e delle legioni.Uomini e donne d’Italia, dell’Impero e del Regno d’Albania. Ascoltate! Un’ora, segnata dal destino, batte nel cielo della nostra patria. L’ora delle decisioni irrevocabili. La dichiarazione di guerra è già stata consegnata agli ambasciatori di Gran Bretagna e di Francia. Scendiamo in campo contro le democrazie plutocratiche e reazionarie dell’Occidente, che, in ogni tempo, hanno ostacolato la marcia e spesso insidiato l’esistenza medesima del popolo italiano…”.

Sembrava il CT della nazionale di calcio che annuncia la formazione che avrebbe giocato. Ma in fondo, per il gran capo del fascismo era anche un un gioco, un “rischio calcolato”, visto che Mussolini aveva il desiderio di sedersi al tavolo di pace imposto dai vincitori con la forza di qualche migliaio di morti italiane.

La piazza, gremita all’inverosimile, era in preda ad un delirio onirico, come non era successo nemmeno pochi anni prima per i festeggiamenti della vittoria della nazionale di calcio di Vittorio Pozzo nella coppa del mondo, Jules Rimet, a Parigi.

Le piazze sono così, salveranno sempre Barabba e uccideranno sempre il Gesù Cristo di turno.

Per gli italiani si preparava un disastro di proporzioni inaudite, con distruzioni e morti mai subiti prima, soprattutto tra la popolazione civile, le cui terribili e negative conseguenze sono arrivate, anche una dolorosa scia sanguinolente, fino ai nostri giorni.

Una pagina nera e da non rivivere mai più e che consegna alla storia dell’umanità un negativo giudizio politico sul Ventennio che nemmeno il moderno revisionismo storico può cambiare, seppur si facesse forte di alcune, innegabili, opere di ammodernamento che imprimevano al paese una linea di crescita anche in un epoca in cui, a causa del proprio imperialismo, veniva economicamente messa ai margini del mondo.

Quella storia, come tutte le storie del resto, è figlia di un periodo non ripetibile. La democrazia italiana è salda, sebbene abbia subito nel tempo lesioni e attentati come il periodo della “strategia della tensione”, quello del brigatismo rosso, coma la morte di Moro e la scomparsa di leader come Berlinguer e Almirante, come la strage di Capaci, e non può temere rigurgiti nostalgici di destra e di sinistra.

E’ fuor di dubbio, però che le conquiste “non sono per sempre” ma vanno difese ed irrorate con lo spirito della tolleranza e con una bussola orientata ai valori della Costituzione del 1948.

Ci si affanna a rendere sempre più penalmente punibili comportamenti che inneggiano al regime, e non si sbaglia, ma al tempo stesso bisognerà pur riconoscere che, proprio dalle conseguenze originatesi dopo quel 10 giugno del 1940, la storia ha assunto un senso di marcia che ha saputo integrare nel gioco democratico sia la destra che la sinistra, per intenderci gli eredi del fascismo e quelli, più recenti, del comunismo di stampo sovietico.

L’Italia, come il resto del mondo, vive una condizione di difficoltà a seguito della pandemia da Covid-19. Le democrazie mature stanno cercando soluzioni per uscire dall’incubo sanitario e rispondono agli stati autoritari del mondo mettendo al bando le divisioni del momento e realizzando governi di grande convergenze e solidarietà nazionali: Israele e Italia ne sono un limpido esempio. Non credo sia più il tempo di etichettare un politico come fascista o comunista. La politica, in tempi di democrazia, è chiamata a compiere il suo compito più alto che è quello di avvicinare le posizioni, comporre le divisioni, realizzare le sintesi a vantaggio dell’intero Paese e della sua crescita.

Il mondo delle imprese chiede a gran voce questo sforzo.

Per altro, per ora, non c’è spazio.

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