Bergamo non è la città della disperazione ma della speranza

A Bergamo, nella città di Donizetti e Papa Roncalli, in una delle città più garibaldine d’Italia, tra il Sentierone e le antiche mura veneziane la speranza del futuro sembrava aver deposto le armi al cospetto di un nemico invisibile che aveva deciso di investire con il proprio carico di dolore e morte la culla del pensiero e della cultura occidentale rappresentata da una striscia di terra verticale attaccata al continente europeo con la corona dentata delle Alpi.

Nicola Di Iorio

Il virus che nessuno conosceva arriva, ma forse già era insediato da un pò, a mutare la vita, le abitudini e l’economia di una nazione che qualche problema già lo viveva, Il morbo sceglie una città bellissima, patria e matria della gioventù e dell’adolescenza di chi scrive.

Le ho percorse e vissute tutte quelle strade, tra Bergamo bassa e alta. Per me via Masone, via Pignolo, la Fara, via Pelabrocco, via Sant’Alessandro o via Moroni sono stati non solo i luoghi di residenza familiare, ma sono stati i luoghi della mia vita dove ho conosciuto e scoperto i primi amori, la voglia di giocare a calcio, la mia Inter, la voglia di divorare libri e studio, ma soprattutto l’abbraccio e l’amicizia dei bergamaschi, gente fantastica, priva di fronzoli ma pronta sempre ad allungarti una mano per un aiuto sincero e serio.

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Bergamo, “la città dei mille”

Bergamo è nella mia carne e nella mia anima. Non potrò e non voglio dimenticare nulla di essa.

Quella sera del 18 marzo di un anno fa le immagini televisive mi hanno restituito una triste colonna di veicoli militari lunghissima.

All’inizio nemmeno mi rendevo conto a quale città si riferissero le immagini e perchè quella colonna di camion stesse lì in attesa per poi partire verso destinazioni sconosciute.

Poi ho saputo che il carico di quei camion era preziosissimo e, al tempo stesso, dilaniante e disperante. I cassoni erano pieni di bare di persone che il Covid aveva abbattuto e vinto in una lotta che ha sconfitto una sanità straordinaria ma che non conosceva il nemico.

Come tanti piccoli fanti, muti e ubbidienti, in una notte in cui la speranza sembrava aver lasciato il passo alla disperazione, quella colonna, seguita dai pianti e dal dolore di tutti gli italiani, si è mossa per portare le salme nei cimiteri e nei luoghi di cremazione di tante città perchè ormai Bergamo che rischiava di collassare non aveva più capacità di provvedere a tanto.

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La colonna di camion che da Bergamo trasportava le salme verso altre città per essere cremate

Ma quella notte scatta qualcosa in un Paese che ha deciso di non arrendersi. Bergamo è diventata un simbolo dell’Italia che caparbiamente si tira fuori dal baratro. Bergamo non era più il simbolo della morte ma diventava un simbolo di speranza e di vita.

Bergamo e i bergamaschi diventano una linea fortificata per combattere una battaglia come a Masada o Stalingrado. A Bergamo, quella sera disperata nasce la consapevolezza che il nemico può e deve essere vinto.

“Con il cuore a Bergamo dove hanno luogo oggi le celebrazioni per la prima Giornata nazionale in memoria delle vittime. Vinceremo insieme questa lunga battaglia” si esprime così Charles Michel, presidente del Consiglio europeo.

L’Italia è a Bergamo oggi insieme al presidente del consiglio, Mario Draghi per partecipare alla Giornata nazionale in memoria delle vittime dell’epidemia da Coronavirus ospite del dinamico sindaco della città Giorgio Gori che tra città è provincia è stata costretta a contare 3.400 morti nella prima ondata della pandemia.

La Camera dei deputati lo scorso luglio ha approvato all’unanimità l’istituzione della Giornata nazionale in memoria delle vittime della pandemia da Coronavirus.

Il testo è passato al Senato con 418 voti a favore e nessun contrario. Ieri, 17 marzo alle 15 è arrivato il via libera definitivo dal Senato al disegno di legge che istituisce per il 18 marzo la giornata nazionale in memoria delle vittime dell’epidemia da Covid-19.

Io non ho bisogno di sentirmi bergamasco oggi, io continuerò ad esserlo sempre creando, in me, l’agognato incontro tra il Mezzogiorno italiano della mia Irpinia e il nord della valle orobica. In me non c’è alcun conflitto. In me c’è la consapevolezza che insieme l’Italia perirà o rinascerà.

Io sono bergamasco e irpino, con la consapevolezza della diversità che non è un limite ma una ricchezza.

io oggi sono a Bergamo con la mente e l’anima, vicino alla mia gente e a chi mi ha riservato un sorriso, un incoraggiamento e un sentimento con la certezza che l’alba della speranza è vicina.

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Da Taurasi, in Irpinia, a Bergamo in un grande abbraccio di speranza e di forza.

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