IL LABILE CONFINE DI OPERATIVITA’ TRA LA SICUREZZA SUI LUOGHI DI LAVORO E LA RESPONSABILITA’ AMMINISTRATIVA DEGLI ENTI EX D.LGS.231/2001

Con la sentenza 3 marzo – 8 giugno 2021, n. 22256, la Quarta Sezione Penale della Corte di Cassazione si è pronunciata su una annosa e importante questione relativa alla sussistenza del requisito dell’interesse e del vantaggio dell’ente, nel caso di reati colposi di evento per violazione della normativa antinfortunistica, circoscrivendo l’applicabilità di suddetti requisiti al fine di impedire una applicazione automatica della normativa che ne ampli eccessivamente l’ambito di operatività.

Il caso in oggetto

avv.Marco Romano

Il caso oggetto dei fatti di causa muoveva da una società chiamata a rispondere dell’illecito amministrativo di cui all’art. 25-septies del D.Lgs. n. 231/2001, in relazione al reato di lesioni colpose ex art. 590 c.p., posto che il datore di lavoro, imputato nello stesso procedimento, avrebbe posto in essere la condotta anche nell’interesse e a vantaggio dell’ente di appartenenza.

Secondo i giudici del merito doveva ravvisarsi una colpa dell’ente per la mancata valutazione del rischio di infortunio derivante dalle possibili interferenze tra i conducenti dei carrelli elevatori e gli addetti allo scarico del materiale, responsabilità che scaturiva dalla riduzione dei costi per l’attività del consulente per la revisione del DUVRI e dall’aumento della produzione come conseguenza della mancata adozione di apposite cautele.

La sentenza della Corte

Dalla disamina del caso di specie, la Corte è tornata a definire i principi di interesse e vantaggio ai fini della responsabilità amministrativa dell’ente.

In merito alla valutazione della sussistenza dell’interesse, sono stati affermati i seguenti principi di diritto secondo cui “ricorre il requisito dell’interesse quando la persona fisica, pur non volendo il verificarsi dell’evento morte o lesioni del lavoratore, ha consapevolmente violato la normativa cautelare allo scopo di conseguire un’utilità per la persona giuridica e la mancata adozione della cautele antinfortunistiche è l’esito non di una semplice sottovalutazione dei rischi o di una cattiva considerazione delle misure di prevenzione necessarie, ma di una scelta finalisticamente orientata a risparmiare sui costi di impresa”.

Pertanto, definito in questi termini, l’interesse è un criterio soggettivo e rappresenta l’intento del reo di arrecare un beneficio all’ente mediante la commissione del reato, che deve essere accertato mediante una valutazione ex ante essendo del tutto irrilevante che si sia o meno realizzato il profitto sperato.

Da ciò si deduce che il requisito della commissione del reato nell’interesse dell’ente non richiede, ai fini della sua integrazione, la sistematicità delle violazioni antinfortunistiche, essendo ravvisabile anche in relazione a una trasgressione isolata dovuta a un’iniziativa estemporanea, allorchè altre evidenze fattuali dimostrino il collegamento finalistico tra la violazione e l’interesse dell’ente», in quanto la sistematicità della violazioni «attiene al piano prettamente probatorio, quale possibile indizio della esistenza dell’elemento finalistico della condotta dell’agente».

Quanto alla valutazione della sussistenza del “vantaggio“, sono stati affermati i seguenti principi di diritto secondo cui ricorre il requisito del vantaggio quando la persona fisica, agendo per conto dell’ente, pur non volendo il verificarsi dell’evento morte o lesioni del lavoratore, ha violato sistematicamente le norme prevenzionistiche, e, dunque ha realizzato una politica di impresa disattenta alla materia della sicurezza sul lavoro, consentendo una riduzione dei costi e un contenimento della spesa con conseguente massimizzazione del profitto» ovvero «massimizzazíone della produzione, indipendentemente dalla volontà di ottenere il vantaggio stesso» oppure consentendo una «riduzione dei tempi di lavorazione».

Pertanto, il vantaggio è criterio oggettivo, legato all’effettiva realizzazione di un profitto, di importo non irrisorio, in capo all’ente quale conseguenza della violazione delle regole cautelari antinfortunistiche, il quale deve essere analizzato, a differenza dell’interesse, ex post, senza che sia necessario che il reo abbia volontariamente violato le regole cautelari al fine di risparmiare, in quanto la mancanza di tale volontà rappresenta la sostanziale differenza rispetto all’interesse.

Al fine di «impedire un’applicazione automatica della norma che ne dilati a dismisura l’ambito di operatività ad ogni caso di mancata adozione di qualsivoglia misura di prevenzione che implica quasi sempre un risparmio di spesa il quale può, però, non essere “rilevante” – conclude la Corte – ove il giudice di merito «accerti l’esiguità del risparmio di spesa derivante dall’omissione delle cautele dovute, in un contesto di generale osservanza da parte dell’impresa delle disposizioni in materia di sicurezza del lavoro (ed in mancanza di altra prova che la persona fisica, omettendo di adottare tali cautele, abbia agito proprio allo scopo di conseguire un’utilità per la persona giuridica, e – quindi – in una situazione in cui l’omessa adozione delle cautele dovute sia plausibilmente riconducibile anche a una semplice sottovalutazione del rischio o ad un’errata valutazione delle misure di sicurezza necessarie alla salvaguardia della salute dei lavoratori), ai fini del riconoscimento del requisito del vantaggio occorre la prova della oggettiva prevalenza delle esigenze della produzione e del profitto su quella della tutela della salute dei lavoratori quale conseguenza delle cautele omesse: la prova, cioè, dell’effettivo, apprezzabile (cioè non irrisorio) vantaggio (consistente nel risparmio di spesa o nella massimizzazione della produzione, che può derivare, anche, dall’omissione di una singola cautela e anche dalla conseguente mera riduzione dei tempi di lavorazione) non desumibile, sic et simpliciter, dall’omessa adozione della misura di prevenzione dovuta»

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