IL GREENPASS SUI LUOGHI DI LAVORO E’ AMMESSO DALLA COSTITUZIONE

È da giorni che in televisione, sulla carta stampata e sui social-media non si fa altro che discutere sul Green pass. In particolare il dibattito è entrato nel vivo quando il Governo ha subordinato l’accesso a determinate attività (ristoranti, bar, ect…) e poi ai luoghi di lavoro, il possesso del Green pass.

Assume certamente una rilevanza diversa l’estensione varata dal Governo all’accesso sul luogo di lavoro dell’accertamento sanitario.

La domanda che in tanti si sono posti è se fosse conforme al dettato costituzionale e quindi ”costituzionalmente legittimo” subordinare l’accesso sui luoghi di lavoro all’accertamento sanitario e quindi al Green Pass.

Ebbene, la nostra Costituzione all’art. 4 “Riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto”.

Quindi diventa fondamentale capire se effettivamente l’accertamento sanitario rappresenti una condizione imprescindibile per la quale si renda effettivo e tutelato il “diritto al lavoro”.

A tale scopo potrebbe risultare utile rileggere sia l’art. 32 della Costituzione secondo cui “la Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto all’individuo e interesse della collettività“, che, in combinato disposto, l’art. 2087 del codice civile secondo cui “ L’imprenditore è tenuto ad adottare nell’esercizio dell’impresa le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro“.

Pertanto da una lettura degli articoli citati, risulta evidente come la Costituzione possa ammettere l’imposizione del Green Pass sui luoghi di lavoro anche se l’art.32 continua “ Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge”.

A modesto parere di chi scrive, l’utilizzo di una riserva di legge pare più che giustificata dal momento che sottoporre un cittadino a un trattamento sanitario ormai “obbligatorio” non può non essere che giustificata dalla tutela della salute come un fondamentale diritto all’individuo e, al tempo stesso, interesse della collettività.

Altra questione concerne, invece, i provvedimenti aziendali a seguito del rifiuto del lavoratore di vaccinarsi.

Sul punto emblematica è stata la decisione del Giudice di Modena il quale, con ordinanza, ha confermato il provvedimento di sospensione dal lavoro e dalla retribuzione della dipendente che aveva rifiutato di vaccinarsi motivando la decisione in base al citato art. 2087 c.c. secondo cui “l’imprenditore è tenuto ad adottare nell’esercizio dell’impresa le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro” e all’art. 20 del Testo Unico sulla sicurezza e igiene nei luoghi di lavoro in base al quale “ ogni lavoratore deve prendersi cura della propria salute e sicurezza e di quella delle altre persone presenti sul luogo di lavoro, su cui ricadono gli effetti delle sue azioni o omissioni, conformemente alla sua formazione, alle istruzioni e ai mezzi forniti dal datore di lavoro”.

Dal tenore letterale di entrambe le norme si evince, infatti, che se da un lato l’imprenditore è responsabile della tutela dell’integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro (norma in bianco), dall’altro è lo stesso lavoratore che ha il dovere di prendersi cura della propria salute e sicurezza e di quella delle altre persone presenti sul luogo di lavoro.​

Non da ultimo è da considerare che l’Inail, sia con la circolare n.13/2020 che con la nota del 17 marzo 2020, ha inquadrato le affezioni che dovessero colpire il lavoratore come infortunio sul lavoro.

Sull’ argomento è intervenuto di recente anche Lorenzo Mattioli, presidente di Confindustria Servizi HCFS, che ha sostenuto, dopo che la stessa Confindustria in un documento informale aveva ipotizzato sia il demansionamento che la messa a riposo a casa, senza retribuzione, per i lavoratori che non si vaccinassero, che «Il Green Pass va considerato come una garanzia per i lavoratori e le imprese e non come una limitazione della libertà. Il Green Pass aziendale si traduce in un grande atto di responsabilità per le aziende e riteniamo che si tratti di uno sforzo utile per rimettere in moto l’economia e creare ulteriori baluardi sanitari».

Non da ultimo è da considerare che l’Inail, sia con la circolare n.13/2020 sia con la nota del 17 marzo 2020 ha inquadrato le affezioni che dovessero colpire il lavoratore come infortunio sul lavoro. Sull’ argomento è intervenuto Lorenzo Mattioli, presidente di Confindustria Servizi HCFS, che ha recentemente sostenuto «Il Green Pass va considerato come una garanzia per i lavoratori e le imprese, e non come una limitazione della libertà . Il Green Pass aziendale si traduce in un grande atto di responsabilità per le aziende e riteniamo che si tratti di uno sforzo utile per rimettere in moto l’economia e creare ulteriori baluardi sanitari».

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