LE INCOMPRENSIONI DEL PUBBLICO SULLA CARNE COLTIVATA

Il 28 marzo 2023, viene ufficialmente annunciato il divieto alla produzione della così detta carne “sintetica” da parte del governo italiano.

Si tratta di una decisione che è immediatamente finita sotto il mirino mediatico e al centro del dibattito pubblico e attorno a cui si sono create due fazioni, talmente ferme e irremovibile nelle loro posizioni che il dibattito dopo pochi giorni di vita è arrivato ad una fase di stagnazione, dove nessuno sta facendo lo sforzo di guardare le cose dalla prospettiva altrui.

Tra chi elogia il governo per la sua scelta si discernono due categorie: la prima è formata da cittadini che si impanicano alla menzione di una carne “sintetica”, ritenendola carne “finta” e quindi non adatta all’alimentazione umana.

Ciò che questi sprovveduti individui non sanno è che “sintetica” non vuol dire “artificiale”. Un termine più adeguato sarebbe “carne coltivata”, perché è una carne ottenuta dalla clonazione di cellule staminali prese direttamente dal tessuto muscolare dell’animale. Questo prodotto non ha un’origine artificiale ed è coltivata con, paradossalmente, molti meno prodotti chimici della carne classica; di conseguenza, la paura di ingerire qualcosa di “non animale” è del tutto infondata.

L’altra fetta di popolazione contenta della decisione presa dal governo è quella che semplicemente non si accontenta che non ci siano prove che la carne coltivata non faccia male, bensì pretende che vengano fornite prove che essa non fa male alla saluta, due concetti che, quando si parla di ricerca e sperimentazione, spesso vengono confusi tra loro.

Tuttavia qui entra in gioco la contro argomentazione di chi richiede che si avvii la produzione di carne sintetica in Italia è che essa ridurrebbe di molto l’impatto ambientale degli allevamenti intensivi e non, riducendo le emissioni di CO2, il consumo di acqua, lo sfruttamento delle risorse agricole i cui prodotti servono a nutrire gli animali, tutti fenomeni che invece è comprovato costituiscano un rischio per la salute pubblica.
Proprio come quando si rese obbligatoria la vaccinazione contro il Covid nonostante fosse impossibile prevedere se ci sarebbero stati degli effetti negativi a lungo termine, il punto fondamentale è scegliere il minore dei due mali: una carne che sotto certi punti di vista rappresenta un’incognita, ma che sotto altri ha un effetto benefico per la collettività; di conseguenza, un no temporaneo è legittimo, non è una decisione né pienamente giusta né pienamente sbagliata, un no categorico sarebbe uno degli errori  più grandi e più gravi della storia della politica mondiale.

Per quanto riguarda invece il discorso del “proteggere i prodotti nostrani” anche qui bisogna spezzare una lancia nei confronti degli scettici, ribadendo che è più che normale che piccoli allevamenti o comuni che ricavano un enorme guadagno dalla produzione della carne classica, ma bisogna far notare che la carne sintetica non rimpiazzerà mai la carne normale, per via dei prezzi più accessibili, perché il sapore non è esattamente lo stesso e per molti altri motivi.

Un’ottima iniziativa da parte del governo Meloni, visto che i nostri rappresentati si sono presi la responsabilità di imporre questo divieto, sarebbe quella di dedicare dei fondi alla ricerca che fornirebbe queste prove inconfutabili sulla non nocività della carne coltivata di cui il governo sente il bisogno. Un atto di buona volontà per dimostrare che questa decisione è stata presa per la salute dei cittadini e che non si è trattata di una mossa propagandistica per acchiappare i consensi di chi ha paura delle innovazioni perché non le comprende