SI VIS PACEM PARA BELLUM…IN BITCOIN?

Si sa che la guerra cambia nel corso del tempo e che la prima caratteristica a modificarne l’aspetto sono le armi.

Alla vigilia della prima guerra mondiale, i maggiori Stati europei si erano armati fino ai denti di mitragliatrici e dei primi carri armati (tutti tranne l’Italia); prima della seconda guerra mondiale, invece, i governi delle maggiori potenze mondiali avevano commissionato alle industrie metalmeccaniche la produzione di carri armati di ultima generazione e aerei da guerra (tutti tranne l’Italia); per finire, durante la guerra fredda, Russia e Stati Uniti costruirono basi missilistiche in tutti gli Stati a loro alleati e si dedicarono al perfezionamento dell’arma più distruttiva della storia dell’umanità: la bomba atomica.

Federico Malcotti

Insomma, aprendo un libro di storia possiamo concludere che la pace è quel periodo in cui ci si prepara per la prossima guerra, mentre se guardiamo la situazione attuale dell’economia russa possiamo concludere Vladimir Putin è arrivato tremendamente impreparato al conflitto che esso stesso ha scatenato.

Per anni in molti hanno temuto il colosso militare russo, con i suoi soldati incredibilmente ben addestrati, i suoi caccia bombardieri velocissimi e i suoi missili dalla potenza distruttiva enorme.

Tuttavia, quello che questi timorosi individui, assieme allo stesso Putin, dimenticavano era che le guerre, al giorno d’oggi, si combattono in borsa, prima che sul campo di battaglia.

La corsa agli armamenti della prima settimana del conflitto russo-ucraino ha riguardato i Bitcoin, la moneta virtuale libera dal controllo delle banche il cui valore è salito del 20% rispetto a domenica scorsa, grazie all’impennata della domanda dovuta alle sanzioni contro la Russia e alla conseguente svalutazione del rublo.

L’impennata del valore del bitcoin, difatti, è dovuta proprio alla grande quantità di cittadini russi che hanno acquistato la moneta virtuale e se da un lato gli alleati di Zelens’kyj non hanno perso tempo e hanno donato al governo di Kiev l’equivalente di 20 milioni di dollari in bitcoin, dall’altro la Russia sembra aver scoperto l’esistenza delle criptovalute solo l’altro ieri.

Ovviamente gli oligarchi russi non sono tipi da sbandierare ai quattro venti le loro risorse, ma ad oggi sembra che dai bitcoin potrebbe dipendere se i topografi di domani dovranno disegnare o meno una cartina Europea in cui la Russia confina con la Polonia

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